Tra pochi giorni è la festa di Ognissanti seguita dalla Commemorazione dei defunti, date che ci inducono a pensare alla morte, evento poco piacevole che fa parte della vita perché la conclude.
"Pace a nuje e Paradìse a Vuje"
a Vvuje ch'avìte state accòm'a nnuje
a nnuje c'àma essere accòme a Vvuje"
è il saluto che entrando nel cimitero si rivolge ai defunti che nei primi giorni di Novembre è usanza commemorare. Oggi la buona creanza vuole la visita al cimitero, un fiore e una preghiera a testimonianza del perpetuo ricordo.
Ma prima c’era dell’altro…La tradizione di “Ognissanti” prevedeva la preparazione di un pasto frugale a base di ceci, fave, castagne e lupini, da lasciare sulla tavola la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, notte magica durante la quale si credeva che i parenti defunti potessero tornare brevemente nelle loro dimore. Usanza pagana ammantata da un forte spirito religioso e ricca di significati simbolici:
- I ceci – “detti la carne dei poveri” - Cibo dei contadini che quando parlavano di “brodo” intendevano minestra di ceci, perché il brodo di carne (in genere di gallina) era riservato solo ai malati alle partorienti o per ‘u cunzele per i parenti dei defunti.
La similitudine del brodo di ceci col brodo di carne è dovuta al fatto che i ceci sono l’unico legume che cucinato da un brodo consistente, che quando si raffredda “quagghia” (si addensa) proprio come il brodo di carne.I ceci erano popolarissimi anche nell’antica Grecia, in quanto il loro prezzo di mercato era molto basso e quindi accessibili a tutti, venivano consumati abbrustoliti, come saporito passatempo, nei teatri e nelle agorà.
- le fave – Uno degli alimenti più antichi dell’umanità, essendo buone anche crude, si pensa che siano state il primo legume che l’uomo abbia mangiato. Avendo la buccia bianca e nera nell’antica Grecia le fave erano usate durante le votazioni: le bianche per dare voto positivo, le nere, negativo.
Anche il fiore della pianta delle fave è bianco con macchie nere che gli antichi greci volevano disposte in modo da formare la lettera “tau” iniziale della parola “tanatos” ossia morte – da cui la credenza che le fave fossero il cibo dei morti e perciò sempre presenti nelle cerimonie funebri di greci, egiziani e romani.
La gente credeva che i semi delle fave nere assumessero quella colorazione perché contenevano le lacrime dei defunti.
Mangiare fave costituiva una sorta di comunione tra vivi e defunti, uno scambio tra mondo terreno e l’aldilà.
- le castagne – anche loro un cibo povero che abbonda proprio in questo periodo.
… ma fave, ceci, lupini, castagne … sono tutti frutti che nascono avvolti in un baccello, guscio o involucro, che nella simbologia popolare viene paragonato ad un sepolcro, che si schiude per regalare i frutti, rinnovando così il ciclo perenne di vita, morte e rinascita.
La mattina del 1° novembre, si trovava sulla tavola lasciata imbandita un cartoccio con dolcetti che i parenti defunti portavano per ringraziare dell’accoglienza ricevuta e per essersi ricordati di loro:
- le “fave duce” (fave dei morti) - dolci semplici a base di pasta di mandorla, dalla forma schiacciata a forma di fave –
L'origine di questi dolci è antichissima e legata alla morte.
Per la loro fragranza e dolcezza erano dolci portati come viatico ai moribondi, come ultima dolcezza terrena; e costituivano i dolci tipici di “’u cunzele” che si portava ai parenti del defunto dopo il funerale per addolcire il dolore per la perdita subita. Sono così buoni che riescono a mitigare la tristezza dell’evento e a ricordare i momenti dolci passati con coloro che ci hanno lasciato.
E per finire alcuni proverbi in tema:
‘mmar ’a ci more, ca ci reste s’a ‘ggiuste a minestre… (povero chi muore che chi resta se l’aggiusta la minestra - chi muore giace e chi vive si da pace)
Ci une no more l’otre no campano (se uno non muore gli altri non campano-Mors tua vita mea )
A murè e a pajà stè sempre tiempe (a morire e a pagare c'è sempre tempo)
Penz'a' murè ca' stè ci ti prèche (pensa a morire che c'è chi ti seppellisce)
Fin’a ‘u chiavute se po’ gridà sempre “aiute!” (finchè non arriva la bara si può sempre sperare di sopravvivere – solo alla morte non c’è rimedio).
Ci sèchete le miedece perde 'a vite, ci sechete le prièvete perde l'aneme (chi segue i medici perde la vita, chi segue i preti perde l'anima)
‘mmar ’a ci more, ca ci reste s’a ‘ggiuste a minestre… (povero chi muore che chi resta se l’aggiusta la minestra - chi muore giace e chi vive si da pace)
Ci une no more l’otre no campano (se uno non muore gli altri non campano-Mors tua vita mea )
A murè e a pajà stè sempre tiempe (a morire e a pagare c'è sempre tempo)
Penz'a' murè ca' stè ci ti prèche (pensa a morire che c'è chi ti seppellisce)
Fin’a ‘u chiavute se po’ gridà sempre “aiute!” (finchè non arriva la bara si può sempre sperare di sopravvivere – solo alla morte non c’è rimedio).
Ci sèchete le miedece perde 'a vite, ci sechete le prièvete perde l'aneme (chi segue i medici perde la vita, chi segue i preti perde l'anima)
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