In una pubblicità di merendine, si vede una bambina che appena alzata cerca di scappare fuori casa a giocare, e alla mamma che le ricorda di fare colazione lei risponde: <Ma fa caldo!>…..
E come darle torto! D’estate si ha sempre voglia di fresco, anche di cibi freschi e bibite dissetanti e rinfrescanti. E cosa c’è di più buono, fresco, nutriente di un prodotto della nostra tradizione?
Da piccola amavo l’estate perché potevo chiedere a mia madre “Pane ollo e popò” – che nel linguaggio post- lallazione, indicava proprio la frisella, olio e pomodoro! – che adoravo!
Quanto gusto e quanta freschezza nelle nostre “FRISEDDE”!
Ingredienti essenziali, gusto autentico e una fragranza solare.
La frisedda racconta l’umanità di gente povera ma dignitosa, sfruttata ma non rassegnata, che per mare o in campagna ha sempre lottato contro mille avversità rimanendo tuttavia, sempre ridente e mai malinconica.
La frisedda è tutto questo: cibo allegro, rustico ma genuino, semplice ma nobile, perché racchiude in se un valore simbolico e affettivo che va oltre il significato meramente nutritivo e gastronomico.
Essa racconta la fatica e suscita nostalgia, non per l’atavico languore della fame pre e post bellica, ma per il rapporto degli uomini con la natura, che col tempo è diventato sempre più superficiale.
Una nostalgia per il filo diretto uomo-terra-cibo, e tra lavoro, cibo e festa - dopo tanto, duro lavoro arrivava il momento tanto atteso del raccolto, un momento sempre di lavoro e fatica, ma che era sempre motivo di festeggiamenti. Feste che ripagavano gli uomini del lavoro di un anno intero, ma che in qualche modo perpetuavano i riti pagani di ringraziamento alle forze della natura, che avevano reso possibile il miracolo. Legami che davano significati particolari a colori, profumi, sapori, aromi.
Frisedde….di grano duro, d’orzo, grandi quanto il palmo di una mano, ottime per la prima colazione, per una sana merenda, o per una cena alternativa…..la frisedda è un eccellente stuzzichino.
Anche la frisedda nacque per caso:
...Un fornaio disattento aveva lasciato dei panetti nel forno, più del necessario, e si biscottarono. Ma il cibo, e soprattutto il pane, non si poteva buttare. Occorreva trovare una soluzione. Il fornaio li portò a casa, aprì in due i panetti, lungo lo spessore, li sponzò, in acqua e li condì con olio, pomodori, sale…
e la sua distrazione si rivelò molto gustosa ma soprattutto utile, infatti la frisedda essendo pane biscottato, poteva conservarsi più a lungo senza fare la piluscina - ammuffire...
Le frisedde venivano conservate in capasoni e con esse i contadini risolvevano il problema del pasto, quando trascorreva l’intera giornata nei campi. Ma bisogna anche dire che la nostra amata frisedda ha ascendenze nobili e antenati illustri. Il pane degli antichi greci era la <meza> un composto non lievitato di farina d’orzo e acqua, biscottato sotto la cenere o su pietre roventi. Era un tipo di pane che si conservava bene, adatto ai lunghi viaggi per mare. Del resto i pescatori conoscono bene la bontà delle nostre cozze, accompagnate con le nostre fragranti frisedde!
La “frisedda”, sempre presente nelle estati tarantine. Giornate trascorse sulle spiaggette del lungomare, allora praticabili, e al “pizzone”, a sud del mar piccolo, prima che costruissero il ponte.
…Tra sole, polvere gli antichi turisti campagnoli arrivavano sugli “scerabbà”, cantando e raggiungevano le spiagge. Arrivati, le donne “spannevan nu ‘ghiascione tra ‘u scerabbà e due pali conficcati nella sabbia, mentre gli uomini scavavano una fossa a rip’ de mare, nella battigia, e vi mettevano le bottiglie di vino e i meloni rossi e gialli, per mantenerli freschi.
Così cominciava la festa, tra scamunere di bambini che gridavano , uomini con le mutande lunghe e donne in camiciola bianca che arrivava al polpaccio – tutti a bagno, aspettando di poter mangiare le parmigiane e le maccheronate tenute in caldo nei traini - e tra un bagno e una risata si spizzicavano le frisedde, “spunzate” nell’acqua di mare e condite con spicchi di pomodori san marzano.
Il tramonto raccoglieva tutti sullo stesso scerabbà, la pelle striata di salsedine e i volti avvampati dal sole e si prendeva la via del ritorno, tra canti iniziati e non finiti e i più piccoli esausti, in braccio alle loro mamme, che avevano indossato di nuovo i loro vestiti scuri…
Da noi il turismo è nato così. Stabilimenti balneari, ristoranti e pizzerie e discoteche, sono venuti dopo, tutti figli di quelle frisedde ‘nzuppate nel mare.
E parlando di friselle non si può non ricordare <L’ACQUASALE>.
Cos’era? Un’altra pietanza povera, semplicissima e gustosa, inventata per riutilizzare al meglio il pane raffermo, o per gustare le frisedde… D’estate un vero toccasana...
Mia nonna, prendeva “nù piatte riale” ci metteva dell’olio, dei pomodori tagliati a spicchi, una cipolla rossa tagliata a fettine sottili, capperi e basilico sale e pepe e poi riempiva la coppa di acqua. Rimestava bene bene e poi ci inzuppava le fette di pane duro o le frisedde… una freschissima delizia!
Ma l'acquasale si preparava anche in inverno, naturalmente in una versione calda... anzi bollente...
si soffrigge la cipolla nell’olio, poi si aggiungono i pomodori e il peperoncino ed in fine l’acqua e il sale. Si fa bollire per un po’, giusto il tempo di amalgamare i sapori e poi si versa in un piatto dove ci sono i pezzettini di pane, e si condisce con una spolverata di cacio ricotta salato ... e … ci si lecca i baffi!
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