< Pomodoooori!....Pomodori per la salsa!..., pomodori per bottiglie!...>
Erano in molti a vendere pomodori, e ognuno aveva il suo venditore di fiducia, sempre lo stesso, anno dopo anno, salvo cause di forza maggiore. Quel grido era inconfondibile! Era lui! Biasìne, il nostro pomodoraio di fiducia!
Mia mamma e le mie zie seguivano mia nonna e uscivano dirette verso il camion. L’addetta alle trattative era la nonna,
<Come so le sammarzane stà’nnate Biasì?>
<Singère, vìde vì ! Arranga arranga vonne, fa cunde ca s’ha sdevacàte u’ cammie>
<…e pumedore de manduria ne tiene? ….. no ne sto veche…>
<E no u sapìte ca quidde so chiù picche, no pozze accundentà tutte quande, ma statte scuscetàte, pe le cliente come a vuije stònne sempre.>
<e fammene do quindale … e do quindale e mienze de sammarzane>
Mentre prende le casse per misurarle promuove i suoi pomodori dicendo
<na signò … vìde c’è tenghe!>
ma la nonna non si fa abbindolare …….
<…si sì, l’apparàte de suse è bone….>
A quest’affronto il venditore sdevàghe ndèrre na cascia esclamando
< none no, pare pare so’! Come sùse sotte!>
<…cussì pare! me raccomande lieve le casce e fa’ buon peso ... falla calà a statère!>
Bott’e risposte nonna contrattava anche il prezzo mentre la delegazione maschile di famiglia cominciava a portare in casa le casse sistemandole fuori sotto una tettoia fatta di cannìzze dove rimanevano un paio di giorni, perché uno dei dogmi procedurali vuole che i pomodori devono “riposare” prima di essere lavorati.
Intanto sempre le maschele venivano mandati “abbàsce le candìne” e “suse le tramenzàne” per riesumare le casse di bottiglie vuote, la macchina della salsa, le buste dei ramini e “a’ macchinetta p’attappà le buttiglie” , catare, catariedde, e catarotte, càte, limme e furniedde Il giorno dopo, si lavavano le bottiglie e si facevano asciugare al sole, poi si mettevano in casa suse e sotte a banche.
La maggior parte erano “trequarti” di Raffo , ma c’erano anche le vecchie bottiglie di Fanta da litro, quelle di vetro marroncino...
Ora tutto era pronto …
Il terzo giorno era quello conclusivo. Per evitare sole e caldo, ci si alzava alle tre, si parlava il meno possibile e pianissimo per non dare fastidio ai vicini.
Le maschele preparavene u fuèche, le piccìnne e le femmene procedevano alla lavorazione dei pomodori.
La prima cosa era togliere i pidicìni ai pomodori, poi si lavavano e si passavano indre u’ cate dove venivano sprangiuti immergendoli in acqua per evitare gli schizzi dei semi.
I pomodori sprangiuti venivano cotti in enormi catare di alluminio.
Durante il tempo di cottura dei pomodori, le maschele montavano la macchina della salsa, mentre i bambini provvedevano a lavare le foglie di basilico da mettere poi nelle bottiglie.
Quando i pomodori erano cotti, si procedeva a passarli alla macchina da dove usciva una salsa rossa fumante e profumata che cadeva in grandi limmi da dove veniva presa c’u cuppìne, e c’u’ mute s’anchievene le buttiglie, che una volta tappate coi ramini venivano sistemate in enormi caldaie per essere bollite. Bisognava fare attenzione a non lasciare spazi, che durante la bollitura avrebbero potuto provocare urti tra le bottiglie con conseguente rottura. Per questo tra le bottiglie venivano messi degli stracci.
Il tempo di cottura secondo mia nonna doveva essere di un’ora, ma spesso e volentieri , eludendo la sua vigilanza, il fuoco si spegneva dopo quaranta minuti, che tutti gli altri ritenevano sufficienti.
Una volta bollite le bottiglie dovevano raffreddare.
Lavate e messe a posto tutti le coppe usate e la macchina della salsa, il sole era già alto e si faceva colazione con l’acquasale che la nonna aveva preparato mettendo da parte una coppa de sumènde, quando si spràngevene le pumedòre. L’aveva condita olie sale e cipodde e ci aveva messo dentro le fette di pane……
U’ dalle e dalle era finito e quel pane ci voleva proprio.
Dopo la colazione si uscivano le mante con cui coprire le bottiglie di salsa una volta uscite dalle caldaie.
Ma quante te gire e vuète e arrive menzadie , anche al pranzo provvedeva mia nonna che preparava i suoi buonissimi
Pummedòre scatteresciate
Un piatto tipico della cucina semplice, povera di ingredienti ma ricca di gusto.
Per preparli faceva riscaldare l’olio in un tegame, quando fumava ci calava i pomodorini interi, condiva con basilico e capperi, metteva il coperchio e lasciava cuocere.
Dopo qualche minuto i pomodori cominciavano a scatterisciàre (esplodere) e in un quarto d’ora sono pronti da gustare con fedderosse (bruschette) , muerse (pezzi di pane fritto) o frisèdde.
E’ vero che l’usanza estiva di fare la salsa si va perdendo, complici le “offerte” convenienti di pelati e passate, nei nostri supermercati, e il prezzo troppo alto dei pomodori, che non va al di sotto di 0,45 cent/kg - alleati della nostra poca voglia di “’nzivamiento”.
Comunque i fedelissimi della salsa “fatt’ a casa” esistono ancora, e sono tanti. Motivo per cui si vedono girare ancora “trerrote” carichi di “cascette” con cartelli del tipo…”POMODORI PER BOTTIGLIE”…
Quello che invece si è perduto è la preparazione de “ A’ CUNSERVE”.
Molti credono sia la stessa cosa, ma non è così. C’è una differenza sostanziale tra salsa e conserva:
- La salsa è il succo del pomodoro, che dopo la spremitura e la bollitura viene imbottigliato;
La conserva è il concentrato,e la sua preparazione richiede tecniche e tempi diversi.
Per ottenere “ a cunserve” i pomodori ben maturi, si mettevano a cuocere in una “càtara” (caldaia), con abbondante basilico, cipolla tagliata sottile e sale. Quando si ammaccavano, venivano tolti dal fuoco e passati alla “strattiera”, una sorta di grattugia sulla quale venivano schiacciati a mano. La salsa ottenuta veniva raccolta in “piatte riale” di creta che si esponevano al sole, sulle terrazze, dove i raggi del sole sono più diretti. Sui piatti si stendeva un velo per proteggere la conserva dall’assalto delle mosche e intorno ai piatti si usava mettere un rametto di àlaure (alloro) contro gli spiriti maligni.
Di sera i piatti venivano riportati in casa per evitare che l’umidità della notte e la rugiada del mattino, distruggessero l’opera del sole che era l’unico responsabile della riuscita della conserva.
Si lasciavano al sole per giorni e giorni, rimescolando spesso il contenuto con una “cucchiara” di legno, sino a quando il composto, evaporando, si restringeva diventando denso e di colore rosso scuro tendente al marrone. Si amalgamava con dell’olio d’oliva e si riponeva in capase smaltate con “tampagni di legno che prima di essere utilizzati, venivano messi a bagno in acqua per qualche ora così gonfiandosi, garantivano una chiusura ermetica del recipiente.
Queste capase venivano poi bollite a bagnomaria per circa mezz’ora, prima di essere gelosamente custodite per le giornate invernali, quando ne bastavano pochi cucchiai, opportunamente sciolti in acqua calda e conditi con olio e peperoncino, per dare alla pasta la dignità regale e il sapore della festa.
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