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sabato 7 ottobre 2017

'U capecanale

La vendemmia è agli sgoccioli e dalle  cantine sale già l'odore del  mosto. Nelle campagne, si chiude un altro ciclo produttivo. La vigna passerà il testimone, che aveva preso dal grano, agli ulivi.
Mietitura, vendemmia, raccolta delle olive, lavori lunghi e faticosi che richiedono l'impiego di molte braccia.
Produzioni diverse con lavorazioni differenti ma dalla conclusione comune: 'U Capecanale 
Un termine unico dall'origine incerta. Alcuni studiosi ritengono  derivi  da “baccanale”, la festa dei latini in onore di Bacco; altri lo fanno derivare da “cannale”, un tipo di brocca panciuta e dal collo lungo, usata dai contadini, oppure da "caponnata" la festa dei contadini nelle occasioni speciali (matrimoni, battesimi...); altri ancora pensano che fosse l’ultimo colpo di piccone alla chiusa di un canale dopo essere stato terminato.
A prescindere dalla sua etimologia, il capocanale segna la fine di una stagione di lavori, un' antica usanza, una festa, un pranzo di ringraziamento, una grande abbuffata offerta dai padroni a tutti i lavoranti.
Un vero e proprio rito, che per un giorno prevede l'inversione dei ruoli, in cui sono i padroni a servire i loro sottoposti,  come premio e ringraziamento per il lavoro svolto.
Col tempo questa usanza agricola, si è estesa anche ai muratori che, nella costruzione di una casa, quando si arrivava a " l'urtema gittata" dell'ultimo solaio, si aspettavano 'u capecanale" a cui prendevano parte tutti: manovalanza,  maestranza e l'intera famiglia dei proprietari. 
Una consuetudine che non ammetteva deroghe o dimenticanze, anche perchè durante i lavori, necessariamente lunghi, si creavano e si rafforzavano i rapporti di amicizia tra proprietari e lavoratori.
 
A tal proposito un simpatico aneddoto racconta che una volta un proprietario dimenticò questa usanza per cui i muratori, risentiti, richiamarono la sua attenzione scrivendo col carbone su una parete del fabbricato:
                                    ci no' cale le maccarrune
                                    no' mettime le curneciune
Il proprietario capì l'antifona e la sua mancanza ma rispose a tono, scrivendo a sua volta:
                                    quanne mettite le curnice
                                     ve doc'a paste cu l'alice
Superfluo dire che il divertente contrasto finì in una gran mangiata collettiva. 

'U capecanale ai muratori è un'usanza tuttora esistente anche se, nel tempo, il pranzo preparato in casa è stato sostituito da una mangiata in pizzeria o a ristorante.
 

Altra cosa era 'a tagghiate ...

Una volta finita la casa, bisognava arredarla e per questo ci si rivolgeva ai falegnami.
La consegna avveniva sempre di sabato, un giorno considerato propizio ma, solo dopo il montaggio d'a mubilije nelle stanze cui era destinata, la famiglia invitava tutti al tavolo imbandito con ogni sorta di salumi e formaggi affettati, da cui il nome "tagghiate", ma non mancavano polpette, salsicce e braciole di carne di cavallo, il tutto accompagnato con finocchi, rucola, sedano e ravanelli e bagnato con ottimo vino. 

Oggi i mobili si comprano in negozio e questa usanza è sparita.

Purtroppo e perfortuna il tempo passa e le cose cambiano: il modo di lavorare, di divertirsi... di vivere.


 



mercoledì 28 giugno 2017

Cu ccè sse mète? ... Cu 'a fòrbece!

A volte la testardaggine e l'orgoglio inducono a sbagliare, sapendo di sbagliare, continuando a sbagliare, pur di non ammetterlo,.
Quando siamo di fronte ad una persona cocciuta che non sente ragioni, noi tarantini diciamo:
" Cu ccè sse mète? 
cu 'a fòrbece! "
una locuzione che ha origine da una storiella che non tutti conoscono:
Stàve nà vote...
Una coppia di contadini: zìu Ballòi, uomo molto orgoglioso, sposato con zia Torìcca, donna cocciuta come come pochi.
Una calda mattina di giugno si alzarono all'alba per recarsi a mietere nei campi. Zìu Ballòi prese la falce, zia Torìcca un paio di forbici. Arrivati al campo cominciarono a lavorare e zìu Ballòi accortosi che la moglie tagliava le spighe con le forbici le disse: 
 <Torì, come stè tagghie 'u grane?> 
e lei pronta: < cu 'a fòrbece!> 
e lui stizzito: < Cu 'a foce se mète! > 
e lei impassibile: < Nossignore, cu 'a fòrbece!
Continuarono così fino a sera, lui che, con lui che ribadiva l'uso della falce e lei che persisteva nell'uso delle forbici.
Finito il lavoro Ziu Ballòi non si capacitava di non essere riuscito a convincere la moglie ad usare la falce. Infuriato prese la moglie per un braccio e la trascinò al pozzo dove le chiese per l'ennesima volta: < Cu ccè sse mète? >, e lei sprezzante: < Cu 'a fòrbece! >.
Ziu Balloi la calò nel pozzo, dove Toricca cominciò ad annaspare.
<Torìcca, cu ccè sse mète?> le domandò per l'ultima volta Ziu Balloi, allora Torìcca, che sommersa dall'acqua non poteva parlare, allungò il braccio fuori dall'acqua e con l'indice e il medio fece il gesto delle forbici.
A quel punto Ziu Balloi mollò la corda e se ne andò lasciandola annegare!

E pure stavòte v'hagghie ditte 'u fatte!





  


venerdì 26 agosto 2016

'U Marchese arrive na vota 'u mese



Da un paio di mesi trasmettono una pubblicità che ha immediatamente suscitato perplessità.
Si, parlo di questa:

Cosa vuol dire “ a prova di uomo” ?!?  
E’ un apprezzamento, un insulto o cosa ?!? 
e soprattutto: per chi ?!? 

Ho chiesto a mia madre, 75enne con la licenza elementare, cosa ne pensasse, mi ha risposto: 
< E’ urtànde! >


Geniale! E’ proprio questo il termine giusto, una sola parola che risponde a tutte le domande che vengono in mente guardando quella pubblicità. 

E’ URTANTE!

Urta quel vezzo tutto femminile di “non dire” quello che si deve dire.
Quel pudore che persiste nel tempo e impedisce di usare il termine scientifico che definisce quello che ogni mese affligge le donne, usando sempre termini vecchi e nuovi per sostituirlo e renderlo meno imbarazzante.
Così   le donne nel tempo hanno dato vita ad un linguaggio popolare in cui si riflettono usi, costumi, norme sociali, perché ci sono cose per cui vale il  si fa, ma non si dice” e cose che “non si dicono” e basta, chè  La parola è d'argento ma il silenzio è d'oro.


Gli eufemismi più usati sono:
“ le mie cose",  le regole”, “gli ospiti” , “le visite” , “ i russi” , “i lavori”  , "il ciclo" …..


Certo fanno sorridere ma sono il giusto compromesso per sciogliere la tensione tra la voglia di parlarne e l’imbarazzo nel farlo.
 
Se le mamme sorprendono, le nonne rimangono fantastiche. 

 Per dire che una bambina “ era diventata signorina” dicevano: “Ha ‘rruzzulàte le scale” ?!?

Mentre, l’appuntamento mensile  era
‘U marchese... 
e ...avène na vota 'u mese "
Probabilmente perché i marchesi, nelle occasioni importanti, usavano indossare giacche rosse.
Ma anche perché prima che si inventassero gli assorbenti, si usavano " pezze" o meglio "le pannicijdde"  (i pannicelli)
Ogni corredo degno di questo nome, doveva avere dei fazzoletti di cotone o di lino debitamente rifiniti con punto a giorno e orlati con merletto, tanto da sembrare fazzolettini, simili a quelli che i nobili usavano portare al taschino...impregnati di profumo.


Per tale motivo, quando da un balcone si vedevano " le pannicijdde" stesi in fila ad asciugare, il commento era:
"Vìde vì..... a cummare ha fatte 'u cate d'u marchese! ".

A contrario di quanto si possa pensare, la definizione di “Marchese” travalica i confini provinciali, regionali e temporali, tanto che nella prima edizione del Dizionario  della Crusca del 1612, riporta “marchese” e cita un cavalleresco verso di Francesco Berni (149779 – 1537)
“Un’eccellenza del Signor Marchese, eterno onor del femmineo sesso”

Ma la nonna usava anche un termine più tecnico –“ è indisposta! ”

Non aveva alcun significato medico, ma indicava il lato positivo di  questa “scocciatura mensile”.
Credenza popolare, infatti, vuole che “in quei giorni”  le donne devono evitare di fare buona parte delle incombenze domestiche perchè:
Il pane non lievita, le conserve vanno a male, la crema non si addensa, la maionese impazzisce, la panna non monta…
se tocchi il ferro si arrugginisce, se tocchi uno specchio si appanna, se tocchi le piante seccano, se tocchi la botte con il vino nuovo, diventerà aceto…

Sarà vero? Chissà! 

Vero è che questo argomento è stato trattato, e in modo sublime nella letteratura

 nell’800 Giacomo Leopardi così ne parla:

< seggiole canapè, sgabelli e mense
Letti ed ogni altro arnese, adorneranno
Di lor menstrua beltà gli appartamenti >


Dumas nella "La Signora delle Camelie" - descrive che la protagonista, per segnalare la sua disponibilità usava indossare una camelia bianca per 25 giorni al mese e una camelia rossa quando era indisposta: 

< ‘e nessuno capisce perché’ > - 
scriveva, ma lui capiva benissimo.
 




Finisco qui, compiaciuta di:
essere riuscita a dire quel che volevo dire senza dire quel che non si deve dire!