mercoledì 27 luglio 2011

La notte della salsa

L’estate è la stagione delle ferie, delle vacanze,  del divertimento.     Tra un concorso, una festa  e una sagra, troviamo spesso una notte:  notte delle stelle cadenti, notte bianca,  notte di note, notte della taranta … e tra le varie notti quella che mi ha ispirato è “la notte della salsa”. 
L’invito a passare una notte scandita dalla musica latino americana,  dal ritmo sensuale, coinvolgente …  che fa subito estate, a me ha riportato alla mente odori e sapori antichi di una ritualità  in via d’estinzione.



Proprio come in questo “picco d’estate”,  nei giorni in cui il caldo era più afoso e a’ faugne toglieva le forze, il fiato e la voglia di fare, la sera seduti n’anze a casa,  la delegazione femminile del consiglio di famiglia composto da mamma, nonne e zie, decretava     s’hanna  fa le pummedòre… 
Questa frase mi rendeva felice perché da bambini ogni cosa è un gioco, anche se mi chiedevo: ma perché proprio adesso con questo caldo?    

Poi da grande ho capito che l’antica formula  vuole  il risultato direttamente proporzionale alla fatica.
 
Mi divertiva ascoltare i discorsi dei grandi che decidevano che pomodori comprare
< le pumedore de manduria  o le sammarzàne?>
Dopo aver concluso di comprare  cannuèle e fiaschette, si passava e decidere le quantità:
<a me nu’ quindàle de mandurie  ca a salse avène nu zucchere >
<ije vogghie le sammarzàne  ca rendene assaje decchiù >
<ije  st’anne nonge l’hagghie fatte, menumale ca me l’ha prestate mamà…>


Dritt’e stuerte ognuno diceva la sua e quando si arrivava a decidere quanti pomodori comprare, ci si accorgeva anche che era giunta l’ora di andare a letto e si sentiva una voce:
< S’ha squasciàte u’ capasòne….. ognedune a casa sove >
così si passava alla buona notte, non prima di aver fissato l’appuntamento per la mattina dopo, per comprare i pomodori.

La mattina dopo alle sei già tutti svegli. La macchinetta del caffè sul fuoco gorgogliava diffondendo il tipico profumo del buongiorno.   Verso le sette il consueto suono delle campane, seguito dal tanto atteso:
< Pomodoooori!....Pomodori  per la salsa!..., pomodori per bottiglie!...> 
Erano in molti a vendere pomodori, e ognuno aveva il suo venditore di fiducia, sempre lo stesso,  anno dopo anno, salvo cause di forza maggiore. Quel grido era inconfondibile! Era lui! Biasìne, il nostro pomodoraio di fiducia!
Mia mamma e le mie zie seguivano mia nonna e uscivano  dirette verso il camion. L’addetta alle trattative era la nonna,
<Come so le sammarzane stà’nnate Biasì?>
<Singère, vìde vì ! Arranga arranga vonne, fa cunde ca s’ha sdevacàte u’ cammie>
<…e pumedore de manduria ne tiene? ….. no ne sto veche…>
<E no u sapìte ca quidde so chiù picche, no pozze accundentà tutte quande, ma statte scuscetàte, pe le cliente come a vuije stònne sempre.>
<e fammene do quindale … e do quindale e mienze de sammarzane>
Mentre prende le casse per misurarle  promuove i suoi pomodori dicendo
<na signò … vìde c’è tenghe!>


ma la nonna non si fa abbindolare …….
<…si sì, l’apparàte de suse è bone….>

A quest’affronto  il venditore sdevàghe ndèrre na cascia esclamando
< none no, pare pare so’! Come sùse sotte!>
<…cussì pare! me raccomande lieve le casce  e fa’ buon peso ... falla calà a statère!>


Bott’e risposte nonna contrattava anche il prezzo mentre la delegazione maschile di famiglia cominciava a portare in casa le casse sistemandole fuori sotto una tettoia fatta di cannìzze dove rimanevano un paio di giorni, perché  uno dei dogmi procedurali vuole che i pomodori devono “riposare” prima di essere lavorati.

Intanto sempre le maschele venivano mandati “abbàsce le candìne” e “suse le tramenzàne” per riesumare le casse di bottiglie vuote, la macchina della salsa, le buste dei ramini e “a’ macchinetta p’attappà le buttiglie” , catare, catariedde, e catarotte, càte, limme e   furniedde 
Il  giorno dopo, si lavavano le bottiglie e si facevano asciugare al sole, poi si mettevano in casa suse e sotte  a banche.
La maggior parte erano “trequarti” di Raffo , ma c’erano anche le vecchie bottiglie di Fanta da litro, quelle di vetro marroncino...
Ora tutto era pronto
Il terzo giorno  era quello conclusivo. Per evitare sole e caldo, ci si alzava alle tre, si parlava il meno possibile e pianissimo per non dare fastidio ai vicini.
Le maschele preparavene u fuèche, le piccìnne e le femmene  procedevano alla lavorazione dei pomodori.
La prima cosa era togliere  i pidicìni ai pomodori, poi si lavavano e si passavano indre u’ cate dove venivano sprangiuti  immergendoli in acqua per evitare gli schizzi dei semi.
I pomodori sprangiuti  venivano cotti in enormi catare di alluminio.

Durante il tempo di cottura dei pomodori, le maschele montavano la macchina della salsa, mentre i bambini provvedevano a lavare le foglie di basilico da mettere poi nelle bottiglie.

Quando i pomodori erano cotti, si procedeva a passarli alla macchina da dove usciva una salsa rossa fumante e profumata  che cadeva in grandi limmi da dove veniva presa  c’u cuppìne,  e c’u’ mute s’anchievene le buttiglie, che una volta tappate coi ramini venivano sistemate in  enormi caldaie per essere bollite.  Bisognava fare attenzione a non lasciare spazi,  che durante la bollitura avrebbero  potuto provocare urti tra le bottiglie con conseguente rottura.  Per questo tra le bottiglie venivano messi degli stracci.

Il tempo di cottura secondo mia nonna doveva essere di un’ora, ma spesso e volentieri , eludendo la sua vigilanza, il fuoco si spegneva dopo quaranta minuti, che tutti gli altri ritenevano sufficienti.
Una volta bollite le bottiglie dovevano raffreddare.
Lavate e messe a posto tutti le coppe  usate e la macchina della salsa, il sole era già alto e si faceva colazione con l’acquasale  che la nonna aveva preparato mettendo da parte una coppa de sumènde, quando si spràngevene le pumedòre. L’aveva condita  olie sale e cipodde  e ci aveva messo dentro le fette di pane……
U’ dalle e dalle era finito e quel pane  ci voleva proprio.
Dopo la colazione si uscivano le mante con cui coprire le bottiglie di salsa una volta uscite dalle caldaie.
Ma quante te gire e vuète e arrive menzadie , anche al pranzo provvedeva mia nonna che preparava i suoi buonissimi 
Pummedòre scatteresciate
Un piatto tipico della cucina semplice,  povera di ingredienti ma ricca di gusto.
Per preparli faceva  riscaldare l’olio in un tegame, quando fumava  ci calava i pomodorini interi, condiva con basilico e capperi, metteva il coperchio e lasciava cuocere.
Dopo qualche  minuto i pomodori cominciavano a scatterisciàre (esplodere) e in un quarto d’ora sono pronti da gustare con fedderosse (bruschette) , muerse (pezzi di pane fritto) o frisèdde.
 
E’ vero che l’usanza estiva di fare la salsa si va perdendo, complici  le “offerte” convenienti  di pelati e passate, nei nostri supermercati, e il prezzo troppo alto dei pomodori, che non va al di sotto di 0,45 cent/kg - alleati della nostra poca voglia di  “’nzivamiento”.
Comunque i fedelissimi della salsa “fatt’ a casa” esistono ancora, e sono tanti. Motivo  per cui si vedono girare ancora “trerrote” carichi di “cascette” con cartelli del tipo…”POMODORI PER BOTTIGLIE”…

Quello che invece si è perduto è la preparazione de “ A’ CUNSERVE”.
Molti credono sia la stessa cosa, ma non è così. C’è una differenza sostanziale tra salsa e conserva:
-   La salsa è il succo del pomodoro, che dopo la spremitura e la bollitura viene imbottigliato;
La conserva è il concentrato,e la sua preparazione richiede tecniche e tempi diversi.
Per ottenere “ a cunserve”  i pomodori ben maturi, si mettevano a cuocere in una  “càtara” (caldaia), con abbondante basilico, cipolla tagliata sottile e sale. Quando si ammaccavano, venivano tolti dal fuoco e passati alla “strattiera”, una sorta di grattugia sulla quale venivano schiacciati a mano. La salsa ottenuta veniva raccolta in “piatte riale” di creta che si esponevano al sole, sulle terrazze, dove i raggi del sole sono più diretti. Sui piatti si stendeva un velo per proteggere la conserva dall’assalto delle mosche e intorno ai piatti si usava mettere un rametto di àlaure (alloro) contro gli spiriti maligni.
Di sera i piatti venivano riportati in casa per evitare che l’umidità della notte e la rugiada del mattino, distruggessero l’opera del sole che era  l’unico responsabile della riuscita della conserva.
Si lasciavano al sole per giorni e giorni, rimescolando spesso il contenuto con una “cucchiara” di legno, sino a quando il composto, evaporando, si restringeva diventando denso e di colore rosso scuro tendente al marrone. Si amalgamava con  dell’olio d’oliva  e si riponeva in capase smaltate con “tampagni di legno che prima di essere utilizzati, venivano messi a bagno in acqua per qualche ora così gonfiandosi, garantivano una chiusura ermetica del recipiente.
Queste capase venivano poi bollite a bagnomaria per circa mezz’ora, prima di essere gelosamente custodite per le giornate invernali, quando ne bastavano pochi cucchiai, opportunamente sciolti in acqua calda e conditi con olio e peperoncino, per dare alla pasta  la dignità regale e il sapore della festa.

 

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