lunedì 2 luglio 2012

Il barone di Santacroce

La Taranto degli ultimi decenni dell’Ottocento era una città con tanti problemi. 
Non esistevano veri e propri partiti politici”, bensì associazioni: quella Progressista Pro-Taranto del conte on. Pietro D’Ayala Valva e quella Democratica dell’on. Nicola Lo Re che tramavano nei Consigli comunali e sugli scranni del parlamento per accaparrarsi  promesse e quattrini del Regno.
Borghesia e  nobiltà si arricchivano alle spalle della città appoggiando i politici.
Gli imprenditori, avventurieri, inerti e paurosi, speculavano su tutto e su tutti;
Il popolo stanco e affamato anelava quello stipendio sicuro a fine mese che non aveva mai visto e che gli veniva prospettato.
Mondi diversi uniti da un sogno imposto: Taranto capitale militare d’Italia.
Purtroppo o per fortuna, qualcuno non la pensava così: Domenico Sebastio barone di Santacroce, credeva in una Taranto economicamente diversa, vedeva il Mar Piccolo come la culla di una economia fatta di mitilicoltura,  pesca, commercio, ricchezze tipiche del nostro territorio. 
Sindaco di Taranto  dal  31 marzo 1875  al  29 aprile 1876 - fondò il primo istituto di credito: la Cassa Tarantina dell’Industria e del Commercio, una cosa nuova per Taranto.
Le sue ambizioni politiche, però, lo coinvolsero a tal punto da portarlo a dilapidare le sue risorse e i depositi della Cassa di risparmio da lui fondata.
Come se non bastasse, vennero fuori delle cambiali, a quanto pare false ma con la firma del barone. Uno scandalo che impaurì e sfiduciò i risparmiatori che, preccupati per i loro capitali, si allontanarono dalla Cassa.
Il 29 giugno 1882 il Parlamento italiano decise la costruzione del Regio Arsenale.
Palazzo Santacroce - Taranto
Un susseguirsi di eventi che minarono le sicurezze e demolirono ogni speranza, portando il barone ad allontanarsi da Taranto.
Il 2 luglio 1882 era nella stazione si Napoli a pensare alle sue sconfitte mentre fumava un sigaro che andava in fumo e svaniva, come i suoi sogni. Pensieri che, insieme alla solitudine e alla disperazione, gli dettero la forza di impugnare la pistola e porre fine alla sua vita, sparandosi un colpo di pistola alla tempia, decretando la sua sconfitta.

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