sabato 31 agosto 2013

'U còfene


 
Oggi per fare il bucato basta mettere i panni in lavatrice e schiacciare un bottone, ma una volta richiedeva due giorni di lavoro…

Si cominciava all’alba, quando i panni venivano messi a rimmuddare  (in ammollo) nella pila, poi venivano passati col sapone su 'u stricatùre (l'asse per strofinare i panni).

Nel frattempo si accendeva il fuoco per riscaldare la prima caldaia d’acqua. Finito di stricare, i panni venivano messi nella grasta:

sotto quelli più sporchi e mano a mano quelli più puliti. Si copriva la grasta con un panno u’ cirnature, su cui veniva messa della cenere. Quando l’acqua era pronta si versava su u’ cirnature. In questo modo la cenere rimaneva sul panno e l’aqua e cenere, u’ ranne filtrava attraverso i panni. La cenere era disinfettante e sbiancante naturale. 
Nella parte bassa la grasta aveva un foro di scolo che, dopo qualche ora, si sturava per far uscire a’ lissie (la lisciva), l’acqua ricca di cenere e sapone,  che si raccoglieva in un recipiente 'u limme
situato sotto la grasta.

La lisciva veniva riscaldata nuovamente e versata sui panni, si scolava di nuovo e si ripeteva per cinque o sette caldaie, nell’ultima vacàta si mettevano sul telo foglie di alloro e lavanda che servivano a profumare la biancheria, e si lasciava tutta la notte.

La mattina dopo si scolava questa liscivva e si versavano tre o cinque caldaie di acqua pulita per sciacquare i panni. Quando l’acqua dell’ultima caldaia si era raffreddata, i panni si strizzavano e si mettevano nel limme da dove poi si prendevano e si stendevano a fili di ferro tenuti alti da appositi pali. A volte occorreva tutta la giornata per asciugare il bucato e i panni si ritiravano nel pomeriggio, prima del tramonto altrimenti si diceva che pigghiava d'u maliciedde (l’odore dell’umidità).


L'ultima lisciva veniva conservata e usata per lavare altri capi delicati e colorati ma soprattutto per lavare i capelli. La cenere infatti ha proprietà sgrassanti e disinfettanti.














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