Oggi per
fare il bucato basta mettere i panni in lavatrice e schiacciare un bottone, ma
una volta richiedeva due giorni di lavoro…
Si
cominciava all’alba, quando i panni venivano messi a rimmuddare (in ammollo) nella pila, poi
venivano passati col sapone su 'u stricatùre (l'asse per strofinare i panni).
Nel
frattempo si accendeva il fuoco per riscaldare la prima caldaia d’acqua. Finito
di stricare, i panni venivano messi nella grasta:

Nella parte bassa la grasta aveva un foro di scolo che, dopo qualche ora, si
sturava per far uscire a’ lissie (la lisciva), l’acqua ricca di cenere e sapone, che si raccoglieva in un recipiente 'u limme

La lisciva
veniva riscaldata nuovamente e versata sui panni, si scolava di nuovo e si
ripeteva per cinque o sette caldaie, nell’ultima vacàta si mettevano sul telo
foglie di alloro e lavanda che servivano a profumare la biancheria, e si
lasciava tutta la notte.
La mattina
dopo si scolava questa liscivva e si versavano tre o cinque caldaie di acqua
pulita per sciacquare i panni. Quando l’acqua dell’ultima caldaia si era
raffreddata, i panni si strizzavano e si mettevano nel limme da dove poi si
prendevano e si stendevano a fili di ferro tenuti alti da appositi pali. A
volte occorreva tutta la giornata per asciugare il bucato e i panni si
ritiravano nel pomeriggio, prima del tramonto altrimenti si diceva che
pigghiava d'u maliciedde (l’odore dell’umidità).
L'ultima lisciva veniva conservata e usata per lavare altri capi delicati e colorati ma soprattutto per lavare i capelli. La cenere infatti ha proprietà sgrassanti e disinfettanti.
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