giovedì 16 giugno 2011

Janàre e Malombre


Nella fantasia popolare a' janare che era la versione femminile di ú lupenarie. Non c'erano notti tranquille: in quelle di luna piena erano popolate dai lupinari  ululanti disperatamente per la propria condizione. Spaventavano tutti e uccidevano gli animali.
Le notti buie invece erano preferite dalle janare che vagavano cercando l'occasione opportuna per entrare nelle case e aggredire i bambini.
Per evitare che a' janare entrasse in casa si usava sparpagliare davanti l’uscio e ai davanzali di casa, del sale grosso, ma molto efficace era pure lasciare la scopa capovolta verticalmente, appoggiandola affianco all'ingresso.
Questo serviva a distrarre a' janare che se trovava il sale restava sulla soglia a contare tutti i granelli, se trovava la scopa si impegnava a contarne i fili..... nel frattempo si faceva l'alba e a' janare si ritrovava a dover correre perchè odia la luce del sole.
Ma se malauguratamente á janare riusciva ad introdursi in casa, il capofamiglia, facendosi coraggio e recitando delle preghiere, doveva tirarla via per capelli, che erano il suo punto debole.

Col termine "janare" , da cui deriva anche "scianare", si indica una persona inaffidabile, ipocrita, dalla doppia faccia, che "de nànze te vànde e da rète te tagghie"...
Al maschile può essere inteso come "seguace del Dio Giano", il dio bifronte, con due facce.
Al femminile come "seguace di Diana".  poiché la dea Diana, venerata dai Romani, corrispondeva alla Artemide dei Greci, identificata con Ecate.
Ecate era rappresentata con tre teste e tre corpi (corrispondenti ad Artemide, Persefone e Demetra) regnava sui demoni malvagi e sulle tenebre e vagava nottetempo spaventando gli uomini ...

A taranto comunque c'è un detto:
"Le janare, nò pe' amice e nò pe' cumbàre/cummàre"


Insieme alle janare vagavano altri personaggi inquietanti: le malombre. Erano figure di donne altissime, vestite di bianco o di nero che si aggiravano per le strade dopo il calar del sole e rapivano i bambini lasciati soli.
Probabilmente l'anima vagante di una madre cui avevano tolto i figli.

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