domenica 22 maggio 2011

Maccarrùne...

La domenica è un giorno speciale : chi si riposa, chi fa sport, chi ne approfitta per fare quello che non può fare durante la settimana, comunque c’è un’aria di festa, che una volta si sentiva ancora di più perché si lasciavano gli abiti da lavoro e si indossava il vestito della domenica… scendevano in piazza e ‘a ‘merveràte, li riportava a casa, dove li attendeva il pranzo festivo,  e come ricordava una pubblicità, anche a pranzo oggi come ieri,  la domenica fa la differenza.
Regina della tavola domenicale è la pasta, la mitica  pastasciutta,  un piatto nazionale che oggi si è arricchito di  vari condimenti, ma di  origine povera... la pasta a sciotta – una pietanza ottenuta  facendo cuocere la pasta nel sugo di pomodoro  cotto con cipolla, aglio, prezzemolo  e poi allungato con acqua, a fine cottura conditi cu n’addòre de furmàgge.
Questo l’unico pasto caldo, unico perché era pranzo e cena insieme; caldo perché i contadini p’a filannégne , si concedevano la pausa  per mangiare il loro pane olio e sale accompagnato da cipolla cruda in inverno e dal pomodoro fresco d’estate.   La sera si ritrovavano in piazza in attesa che l’uomo di fiducia di qualche proprietario andasse a proporgli qualche giornata di lavoro. Il ritorno a casa a volte era felice, a volte triste ma a casa per festeggiare o per consolarsi   il pasto caldo era sempre quello: la pasta a sciotta.

Pasta e sugo di pomodoro questi gli ingredienti semplici e indispensabili del nostro piatto nazionale. Ardua la scelta del tipo di pasta , fresca o secca, di semola o all’uovo, lunga o corta, liscia o rigata, ripiena o bucata … comunque maccarròne, specialmente la domenica.
Una volta tutto si vendeva sfuso avvolto in fogli di carta porosa ma resistente che all’interno era grezza mentre la superficie esterna era di una tonalità di azzurro che ha preso il nome di “carta da zucchero”- ma avvolgeva anche caffè, e anche la pasta.
La pasta lunga aveva una lunghezza che era il triplo degli attuali formati che oggi troviamo impacchettati.
Nei pastifici, una volta chiamati proprio “maccaronerie” i formati di pasta lunga: spaghetti, vermicelli, bavette, bucatini e ziti, venivano appesi ad asciugare, questa operazione piegava i cannoli, formando una piegatura chiamata appunto gomito.
  (una foto trovata navigando per rendere meglio l'idea)
Gli ziti, fanno parte della pasta grossa, perché si tratta di pasta bucata di diametro di circa mezzo centimetro ma  nascono come  pasta lunga. Si usavano spezzati, con l’intenzione di ottenere fiscarule da circa 5 centimetri, operazione quasi impossibile, perché, essendo grossi e bucati,  mentre si spezzano si frantumano in modo più o meno frastagliato, formando delle schegge, la parte del gomito veniva lasciata intera, ma era anche più spessa  perché in quel punto  il “buco” per effetto della piegatura si chiudeva.
Una volta cotti e conditi, schegge e gomiti rimangono sempre sul fondo del piatto e raccoglierli insieme a tutto il condimento rimasto è una vera goduria… 
Forse proprio questa particolarità ha portato a considerare i "ziti" la pasta della festa e delle grandi occasioni...tant'è che il loro nome peer esteso sarebbe: "le maccarrune de le zite" (la pasta degli sposi) proprio perchè era la pasta usata durante i banchetti nuziali.

C'è chi sostiene che i maccheroni siano nati in cina, perchè Marco Polo nel suo "Milione" ne fa riferimento .
C'è chi sventola la paternità partenopea... come ricorda la deliziosa novella riportata nelle “leggende Napoletane di Matilde Serao:


La storia de le “maccarùne”
Al tempo di Federico II di Svevia, nella zona del Seggio di Portauova, in via dei Cortellari, vi era un palazzetto a quattro piani nel quale alloggiavano una « donna di facili costumi », uno strozzino ebreo, una coppia di truffatori, e uno stregone o mago di nome Chico. 
Il mago non si faceva vedere molto dai suoi « coinquilini ». Il suo domestico,  raccontava che questi, studiava sempre e si dava anche ad esperimenti chimici di  grande  interesse.
Ma tutti sapevano che ad una determinata ora ,  usciva dalla sua casetta una nuvola bianca che a volta imbrattava il bucato messo a sciorinare , ma  ciò che maggiormente  impressionava gli abitanti  dello stabile  e’ che si poteva intravedere il mago nella nube di polvere con le mani imbrattate di… sangue! Tutti avevano paura e non sapevano immaginare cosa egli facesse, anche se in effetti il pover’uomo non faceva male a nessuno, anzi con i suoi esperimenti voleva perfezionare una sua scoperta che avrebbe reso felice il prossimo nei  secoli a venire.
Un giorno, la bella e procace Giovannella di Canzio, che era la moglie, o quasi, di uno sguattero della cucina reale, tanto spiò che riuscì a scoprire cosa manipolava il mago ed imparò a fare i maccheroni ed il saporito sugo di pomodoro che da lontano era stato scambiato per sangue. Non appena si fu specializzata nella preparazione del piatto la furbastra tanto brigò,  tramite il marito, che riuscì ad arrivare a corte ed a fare assaggiare la sua specialita’ a Federico II che rimase così meravigliato che inconsapevolmente divenne il responsabile dell’etimologia del piatto: definì i sottili  fili di pasta  <<non cari, ma caroni >>.
Da quel momento  tutti vollero mangiare i maccheroni, i nobili vollero che i loro cuochi imparassero a farli e Giovannella divenne molto ricca e fece molte conoscenze. 
Il povero Chico, che era all’oscuro di tutto, ignorava che la sua ricetta gli fosse stata rubata, e lo apprese un giorno bruscamente , passando per un vicolo,vide per caso che in un basso si cucinava… la sua  invenzione. Disperato e  amareggiato, il povero buon mago fece fagotto e scappò via da Napoli.


Bella leggenda, ma anacronistica….al tempo di Federico II di Svevia, l’america non era stata ancora scoperta, quindi solo un mago poteva usare già i pomodori … Mah!...

Il condimento pe le maccarrune è lui...  il ragù e per fare un buon ragù le nostre nonne usavano:
carne di maiale tagliati a pezzetti - di solito vendrèsche (pancetta) che costava meno, carne di manzo  e carne di cavallo, olio,  aglio, cipolla, peperoncino e ½ bicchiere di prosecco bianco - per il soffritto, passata di pomodoro e sale.  La cottura era lunga,  a fuoco lento per tre, quattro ore, aggiungendo di tanto in tanto dell'acqua e in fine, a fuoco spento qualche foglia  di basilico...

...dopo aver condito i maccheroni col ragù, bisognav insaporire il tutto...come?

Chi se lo poteva permettere usava il pecorino nostrano, piccante e saporito, ma non per tutte le tasche.
Tutti avevano in casa a capasèdde de casericotte salàte, saporita e accessibile a tutti.
A volte non ci si poteva permettere ne' uno ne' l'altro.... allora per condire si usava a recotte asquante sciolta nel ragù. Ne bastava un cucchiaino, perchè il suo sapore forte e grintoso amalgamasse il tutto.
Oggi la ricotta forte è una prelibatezza per i palati più forti ma una volta costava poco perchè si otteneva utilizzando la ricotta invenduta che si lasciava inacidire impastandola con l'olio e sale (per evitare le muffe).
Si otteneva così il miglior surrogato del formaggio a basso costo.


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