domenica 22 maggio 2011

Latte d’acijdde

La leggenda dei maccheroni lascia qualche dubbio, più credibile invece, una favola nostrana:

La principessa e la massara.
C’era una volta un principe la cui figlia un giorno si ammalò. I migliori medici, chiamati al suo capezzale, non riuscirono a diagnosticare la malattia. Le facevano bere intrugli e pozioni che la facevano peggiorare.
Il Principe e sua moglie, preoccupati ne parlavano a tutti, chiedendo consigli e aiuto. La giardiniera del palazzo consigliò al Principe di chiamare la moglie del massaro, ritenuta da tutti molto saggia.
Il principe la fece chiamare, e la massara, appena vide la principessina disse che l’avrebbe curata a patto che fosse immediatamente trasferita alla masseria. Il principe era riluttante, ma alla fine, per il bene della fanciulla acconsentirono.
Appena la principessa arrivò alla masseria, la massara le preparò una stanza e cominciò a darle da mangiare ‘ndromese (semolino cotto nel latte di mandorla )  e panecuette (pane cotto con olio, sale e alloro) – e questo ogni giorno a colazione, pranzo e cena.
La cura cominciò a fare effetto e dopo pochi giorni la principessina disse alle figlie della massara, di sentirsi già meglio.
La massara allora, passò ad una medicina migliore, la migliore conosciuta a quel tempo, con la quale aveva tirato su le sue figlie: ricotta col miele  e maccarrùne- sempre a colazione, pranzo e cena.
Un bel giorno la massara riportò la principessa a palazzo, robusta rosea e allegra come un tempo.
Il Principe chiese alla massara come era possibile un simile miracolo solo con del cibo  lei spiegò che i suoi maccheroni erano impastati con latte di mandorla,  svelando così il suo ingrediente segreto
...
‘u latte d’acijdde … 

Chissà quante volte abbiamo sentito l’espressione: “T’hagghie cresciute a latte d’acijdde” – di solito riferita ai figli per sottolineare che non gli si è fatto mancare niente, e che si è fatto addirittura l’impossibile, come procurarsi u’ latte d’acijdde.
Altrettante volte ci siamo chiesti cosa fosse stu’ latte d’acijdde, dato che gli uccelli, non essendo mammiferi,  non producono latte…

Una volta la miseria c’era ovunque , ma  nessuno la subiva anzi la si fronteggiava gagliardamente con  fantasia e l’ironia. La fantasia popolare, sempre molto fervida, ha creato piatti impensabili e l’ironia ha fatto vedere ingredienti che non c’erano, è il caso del “pisceammàre”, dove del pesce non vi era neanche l’ombra, de  “l’ainu scappàte” dove l’agnello non esiste, de "brode jabbàte" dove il brodo è senza carne, vegetale…
Bugie di quotidiana sopravvivenza, cotte in cucina, servite a tavola e mangiate per fame. Minestre semplici  dal sapore deciso con un retrogusto variegato fatto di  civiltà e tradizione tra storia e leggende.

Tutto questo ci riporta ad un piatto antico, nutriente e sofisticato: 

Virmicjedde cu u’ latte d’acjedde” i cui ingredienti sono vermicelli, mandorle, zucchero e cannella – nella versione più antica al posto dello zucchero veniva usato il miele, fondamentale nell’antica cucina dei Greci e dei Romani. Dalle mandorle sbollentate, tritate e spremute, si otteneva il latte che portato ad ebollizione serviva per l’ultima fase di cottura dei vermicelli precedentemente cotti in acqua salata. A cottura ultimata si aggiunge il miele e si cospargeva di cannella. 
Accostamento dolce – salato da nouvelle cuisine, ma prima che Cristoforo Colombo portasse i pomodori e la canna da zucchero, il miele accompagnava pasta, formaggi e persino il pesce… il dolce e il salato non avevano una demarcazione netta, il dolce era un’abitudine irrinunciabile magari temperato dall’agro o dal salato. 
Apicio, che nell’antica Roma poteva condividere con Lucullo la fama di buongustaio, nel suo libro “De re coquinaria”   scrive già di vermicelli cotti nel latte di mandorla e descrive una salsa: il “garum”, fatta con pesce crudo (spesso addirittura marcio),  erbe aromatiche e olio, con la quale condivano non solo il pesce e la carne ma anche i dolci. 
Ma tutte queste curiosità non ci dicono ancora cos’è “u’ latte d’acijdde”...

Per avvicinarci  ad una spiegazione bisogna rifarsi ad una tradizione medievale…

In quaresima era severamente vietato mangiare cibi ricchi come carne, uova, e perfino latte.
Necessità aguzza l’ingegno e la fantasia popolare trovò  anzi inventò dei surrogati…

Le uova erano preparate in un modo strano quanto fantasioso:
Si prendevano della uova di gallina e si bucavano per far uscire tuorlo e albume. Si sciacquavano i gusci in acqua tiepida. Si faceva bollire del latte di mandorla, poi si metteva su un canovaccio e si strizzava sino ad ottenere una pasta consistente. Una parte si mescolava con zafferano, zenzero e cannella.
A questo punto si riempivano i gusci con la pasta di latte di mandorla bianca, a centro si metteva quella allo zafferano (gialla) e si finiva di riempire con quella bianca. Riempiti tutti i gusci, si mettevano a cuocere sotto la brace. Il risultato? …surrogato di uova sode,  con principi nutritivi equivalenti e dal sapore dolce-salato….



Ergo: le uova le fanno gli uccelli, se aiutandoci con la fantasia, crediamo che anche quelle riempite col latte di mandorla sono un prodotto degli uccelli, il latte di mandorla, sempre con tanta fantasia, può essere chiamato latte di uccello.

Nessun commento:

Posta un commento